domenica 17 novembre 2013

Man Ray: La Fotografia Ricreata Per Caso

Salvador Dalí e Man Ray a Parigi, il 16 giugno 1934

Nel 1924, con la pubblicazione del primo "Manifesto del Surrealismo" redatto da André Breton, nasce ufficialmente il Surrealismo. Così Breton definisce il movimento: "Surrealismo, s.m. Automatismo psichico puro per mezzo del quale ci si propone di esprimere, o verbalmente, o per iscritto, o in qualsiasi altro modo, il funzionamento reale del pensiero. Dettato dal pensiero, in assenza di ogni controllo esercitato dalla ragione, al di fuori d'ogni preoccupazione estetica o morale". 

Decisiva è la conoscenza della psicanalisi di Freud, i cui concetti di inconscio, di sogno, di pulsione e di principio di piacere, sono pienamente assorbiti nel programma dell'arte surrealista, in un connubio straordinariamente fecondo  e paradossale di soluzioni visive. Ogni opera offre una prospettiva ineguale, fantastica, delirante, visionaria, ossessionante, stravagante, nella quale la pittura è spesso lontana dall'essere l'elemento fondamentale. Pittura, scultura, cinema e fotografia, sono quindi i campi frequentati dai surrealisti attraverso nuovi procedimenti e tecniche sperimentali: i Disegni automatici di André Masson, il Frottage, il Grattage e L'Assemblage di Max Ernst, il Dripping di Jackson Pollock (pittura informale), le Rayografie e le Solarizzazioni di Man Ray. 

Nella seconda stesura del "Manifesto del Surrealismo" Breton rivendica l'eterogeneità visiva dell'arte surrealista, citando anche alcuni artisti visivi, tra i quali Man Ray: "Era assolutamente necessario che si facesse avanti qualcuno che non fosse soltanto un eccellente tecnico della fotografia, ma anche un pittore di alto livello; qualcuno, che da un lato, sapesse assegnare alla fotografia i limiti esatti del ruolo che questa poteva legittimamente pretendere di svolgere, e che, dall'altro, sapesse guidarla verso fini diversi da quelli in vista dei quali era stata apparentemente creata. La grande fortuna di Man Ray è stata di essere quel qualcuno (...) Le sorprendenti giustapposizioni e rayographie di Man Ray, trasportano le sue immagini lontano dal regno delle banalità quotidiana e gli consentono di creare paesaggi mentali che riecheggiano la scrittura automatica dei surrealisti". 


Ma sebbene l'artista americano risultasse strettamente legato al Surrealismo partecipando alle loro manifestazioni pubbliche, scrivendo sui loro giornali, e fotografando le loro riunioni e quanti vi intervenivano, egli non si considerò mai membro di un gruppo. Convinto di poter vivere libero da ogni vincolo e regola sociale e capace di aprirsi un proprio, personale cammino artistico, rivoluzionò l'idea stessa di ciò che l'opera d'arte poteva essere: "Dipingo ciò che non può essere fotografato e fotografo ciò che non desidero dipingere. Se mi interessano un ritratto, un volto o un nudo, userò la macchina fotografica. È un procedimento più rapido che non fare un disegno o un dipinto. Ma se è qualcosa che non posso fotografare, come un sogno o un impulso inconscio, devo far ricorso al disegno o alla pittura. Per esprimere ciò che sento, mi servo del mezzo più adatto per esprimere quell'idea, mezzo che è sempre anche quello più economico. Non mi interessa affatto essere coerente come pittore, come creatore di oggetti o come fotografo. Posso servirmi di varie tecniche diverse, come gli antichi maestri che erano ingegneri, musicisti e poeti nello stesso tempo. Non ho mai condiviso il disprezzo ostentato dai pittori per la fotografia: fra pittura e fotografia non esiste alcuna competizione, si tratta semplicemente di due mezzi diversi, che si muovono in due diverse direzioni. Fra le due non c'è conflitto". 

Nel 1920 l'artista si trasferisce A Parigi. Per migliorare la sua situazione economica, Man Ray decide di mettersi a lavorare come fotografo professionista. Tecnicamente, questo autodidatta della camera oscura era abilissimo, tant'è vero che questa impresa professionale non solo gli garantì i mezzi per vivere, ma gli permise anche di segnalarsi come artista nella sfera artistica e mondana parigina. Alla fine del 1921, mentre stava sviluppando delle foto in camera oscura, Man Ray scoprì - per caso - un procedimento per produrre immagini senza fare uso della macchina fotografica. Una volta appoggiando degli oggetti (l'imbuto di vetro, il bicchiere graduato, il termometro) su un foglio di carta sensibile finito per sbaglio nel bagno di sviluppo, e riaccendendo la luce, trovò sulla carta l'impronta delle loro forme perfettamente leggibile sul fondo nero. Essendo prodotte senza negativo, le immagini risultavano ora esemplari unici al pari di dipinti e disegni. 

Man Ray diede in seguito a queste stampe il nome di rayografie. Le rayografie assorbirono per intero la sua attenzione fino alla metà del 1922, divertendosi a sperimentare oggetti di uso comune come pettini, perni, una grattugia, una chiave d'albergo, molle, e tutto ciò che gli capitava fra le mani.  Mostrò le rayografie a Tzara amico e teorico del Dadaismo, che ne fu ipnotizzato e ne diede la definizione più bella: "Sono le proiezioni, sospese in trasparenza, alla luce della tenerezza, degli oggetti che sognano e parlano nel sonno"


Man Ray, Untitled Rayograph, 1922

Man Ray, Femmes, 1934
 
Queste immagini surreali attirarono l'attenzione di svariati redattori di riviste, e
Vanity Fair pubblicò sul suo numero del Novembre 1922 un articolo a tutta pagina dedicato alla rayografie. Dalla metà degli anni Venti agli anni Trenta una serie di pubblicazioni mantenne l'opera di Man Ray al centro dell'attenzione del pubblico. Il suo collega dadaista Georges Ribemont-Dessaignes in un suo saggio del 1924 definiva Man Ray "Un chimico dei mestieri che crea un nuovo mondo". 

Oramai la sua agiata situazione economica gli consentì di assumere una serie di assistenti di studio che trattassero con la clientela e lo aiutassero nella camera oscura. Tra l'altro anche donne molto belle che divennero sue muse ispiratrici, e alcune a loro volta famose nell'ambito della fotografia: Berenice Abbott, Lee MillerDal 1929 al 1932 Lee Miller divenne la sua assistente di camera oscura, e ben presto riuscì a padroneggiare le tecniche che Man Ray impiegava. Nel corso di una seduta, quando un topo le sfiorò un piede, istintivamente accese la luce. Le stampe a bagno subirono una trasformazione sorprendente, presentando un alone che circondava ogni figura. Il lampo di luce aveva determinato il cosiddetto "effetto solarizzato". Solo a Man Ray, venne in mente anzichè buttare i negativi rovinati, di usarli in modo creativo. Le fotografie solarizzate proprio per il carattere quasi immateriale delle immagini ritratte, risultarono particolarmente gradite. Negli anni Venti tutti volevano un ritratto solarizzato, da Derain a Picasso, da Le Corbusier a Joyce.


Ritratti e autoritratti divennero una costante della fotografia di Man Ray. Una sorta di Journal intime, di diario in cui rovesciò la sua anima, le fantasie, le ossessioni. La sua opera fu al centro di un vivo interesse editoriale, non soltanto finchè il fotografo fu in vita, ma anche dopo la sua morte avvenuta nel 1976.

Contributo per il Carnevale della Chimica ospitato da  Margherita Spanedda"La chimica e le Muse" è il tema di questa edizione.